COVID-19 E MICROBIOTA

COVID-19 E MICROBIOTA

Dopo quasi un anno dall’inizio della pandemia, si sta sempre più vedendo che il bersaglio del coronavirus sars-cov2 non è solo l’apparato respiratorio, ma anche quello gastrointestinale.

Il cosiddetto asse-intestino-polmone è sicuramente da considerare sullo spostamento del virus dalle vie aeree a quelle intestinali. Tenere in visione il sistema gastrointestinale come altra sede di infezione, e quindi di possibile trasmissione, diventa fondamentale nella gestione del problema.
A prova del coinvolgimento intestinale non abbiamo solo i sintomi come diarrea, nausea e vomito che si presentano nel 40% dei pazienti, ma anche la presenza di RNA virale nelle feci (vedi tampone anale), anche con negatività al tampone rinofaringeo. Una volta che l’infezione si attiva si scatena una cascata immunitaria ed infiammatoria con il rilascio massivo di citochine pro-infiammatorie, come IL12-6-17 e TNF, che attivano la risposta. Grande protagonista in tutto questo è anche il nostro microbiota.
Il microbiota intestinale è basilare e moltissimi studi lo stanno dimostrando, non solo nello sviluppo, ma anche nella regolazione del sistema immunitario, che a sua volta ne influenza la sua composizione e le sue caratteristiche.
Il microbiota polmonare condivide con quello intestinale la maggior parte dei phyla e dei rapporti tra essi.

Quindi un’alterazione dell’eubiosi intestinale (disbiosi) potrebbe essere una causa nell’aumentare la possibilità di infezione e di  influenzare l’andamento e la gravità della sindrome.
Se si prende in considerazione questo aspetto, diventa automatico pensare che la compromissione dell’integrità e funzionalità della barriera intestinale influenzi anche la condizione polmonare mediante lo spostamento di microrganismi e loro metaboliti.
Alla luce di tutto ciò, si potrebbe affermare che intervenire sulla composizione del microbiota intestinale potrebbe migliorare la sintomatologia o ridurre la possibilità di contagio.

Infatti le linee guida messe in atto in Cina raccomandano l’uso di probiotici in pazienti gravi per salvaguardare l’equilibrio del microbioma e contrastare il diffondersi dell’infezione. La Medicina Cinese riconosce tra intestino e polmone un legame bidirezionale molto forte (quello che oggi viene denominato asse intestino-polmone), dove si assiste ad un coinvolgimento di entrambi gli organi, anche se lo stimolo nocivo inizialmente si scatena solo su uno di essi.
Di conseguenza, qualsiasi problematica su questi organi deve essere valutata nel suo insieme, mettendo in atto tutti quegli accorgimenti che attraverso l’equilibrio del microbiota vanno a limitare l’infiammazione sistemica di base che oramai viene chiamata in causa nello scatenare la patologia, sia acuta che cronica.

L’eubiosi del nostro intestino è una responsabilità che ognuno di noi deve assumere e mettere in atto, visto che a quanto sembra sia il primo atto di vera prevenzione.
Prevenzione come?  Alimentazione con cibi vivi e naturali che non innescano la risposta infiammatoria di mucosa, sospensione dei cibi disturbanti, dieta ricca di fibra, cibi integrali. Eliminazione del cibo spazzatura (ad esempio, fast food) per assumere alimenti il più possibilmente biologici e di qualità (slow food). Controllo del peso corporeo, dato che il sovrappeso innesca un processo infiammatorio cronico costante.
Oltre a tutto ciò, ovviamente, occorre aggiungere attività fisica, rispetto dei ritmi sonno-veglia e, non meno importante di tutti questi, l’aspetto psico-emozionale che deve essere il più equilibrato possibile e il meno influenzato da tutto ciò che innesca ansia e paura.

Dott. Mauro Piccini 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

EMERGENZA SARS COV-2   RIFLESSIONI

EMERGENZA SARS COV-2 RIFLESSIONI

Il termine “emergenza” deriva dal latino e-mergere, ove mergere sta per affondare; quindi emergenza come “proveniente da ciò che è affondato”.

Nell’interazione organismo vivente-mondo si svolgono continui fenomeni di risposta/attenuazione/eliminazione che consentono il gioco adattivo della vita.
Le perturbazioni legate sia ai a patogeni come virus, batteri e funghi, sia ad inquinanti molecolari di ogni sorta, entrano in contatto con i Sistemi difensivi dell’uomo.
L’infiammazione, la fiamma interna, vale o dovrebbe valere come un sacro fuoco, ove la perturbazione si incenerisce.
Questo risultato positivo è tanto più probabile quanto maggiormente efficienti sono i processi che entrano in azione e questi ultimi lo sono, se hanno già avuto esperienza, ossia hanno già conosciuto e sono in grado di ri-conoscere la perturbazione.
Questo virus sembra invece abbia incontrato l’essere umano per la prima volta.
La reattività emergente è quindi nuova, clamorosamente violenta ed in parte causale.
L’uomo è pertanto impreparato; ciò che sta accadendo non dipende solo dalla novità situazionale del suo Sistema Immunitario ma, ciò che è ancora più decisivo, dalle condizioni in cui si trova tale Sistema, dalla sua usura.

Esiste un ambito della cultura medica che predilige l’essere umano piuttosto che la malattia, l’insieme che costituisce l’essere umano, la sua storia, il suo ambiente e che considera la patologia non come un incidente di percorso, ma come un prodotto di tali relazioni e di tale storia, sia individuale sia sociale.
Tale cultura è in grado di elaborare interpretazioni di questa pandemia: ipotesi e proposte che non si limitano a combattere il virus, ma che cercano di fornire una lettura utilizzabile in senso predittivo/preventivo, tutelante la salute.
Ormai da tempo tele modello di Medicina Regolatoria Sistemica non considera la malattia come un evento casuale cui opporsi in maniera esclusivamente sintomatica, per sopprimerla, e si interroga sulle circostanze che la rendono possibile e che rendono possibile la sua cura.

L’aspetto più importante di tale approccio è la ricerca delle complesse componenti delle relazione uomo-ambiente che risultano fondamentali per promuovere e mantenere la salute, cioè un approccio saluto-genetico e non circoscritto alla pato-genesi.
Considerando la malattia sia acuta che cronica come uno sbilanciamento reattivo a perturbazioni minacciose, pur tendente ad un nuovo equilibrio, ma dagli esiti imprevedibili, poniamoci qualche domanda circa la situazione in cui SARS COV 2 ha incontrato l’essere umano, con effetti drammatici.

Che cosa di  “affondato” è emerso?
Lo scatenamento di uno stato infiammatorio severo, spesso coinvolgente non solo l’Apparato respiratorio nel suo tratto profondo, ma anche gli apparati cardio-circolatorio, gastrointestinale, il sistema nervoso, la pelle, evoca un’ “accensione” sistemica che rimanda alla riattivazione di una o più braci silenti.

Questo è l’aspetto simbolico che corrisponde all’espressione “tempesta citochinica incontrollata” della biopatologia molecolare.

Quando la fiamma è divampata, la principale risorsa, sotto forma di diverse forme terapeutiche, non può essere un estintore che domi l’incendio.
Tuttavia il fatto che gli organismi umani diventino così facilmente preda di inneschi, tanto rapidamente distruttivi, richiama lo stesso rapporto che esiste tra un fiammifero e un covone di fieno.
In altri termini lo svelamento di una drammatica semplicità degli eventi che possono rivelare la fragilità dell’essere umano, pur così complesso. E’ noto, infatti, che tanto maggiore è la complessità/specializzazione di un organismo vivente, tanto minore è la quantità di energia necessaria per ucciderlo.
Un’ altra domanda da mettere sul tavolo è se questa situazione si offre ad una possibile comprensione e possibile cambiamento, oppure permane oscura ed ineluttabile.

Dati Istat del 2017 segnalavano che il 45% degli italiani over 65 e il 18% degli over18 fosse affetto da una malattia cronica grave. Dati che parlavano da soli, senza necessità di commento, rendendo esplicita una situazione per cui lo stress di difesa che determina un’infiammazione persistente è funzione del tempo, ma non di un tempo astratto, solo orologio-dipendente, bensì di un tempo vissuto, di una qualità del tempo, di abitudini, stili di vita nel proprio ambiente esterno e dimensione interiore.
Va così intesa l’inflammaging, ossia l’età infiammata, simbolo di un prezzo da pagare troppo alto: il prezzo di un progressivo consumo, esaurimento ed errori del Sistema adattivo di difesa.
In tale direzione sono determinanti stili di vita anche diversi, ma simili nell’effetto che producono.
Lifestyle dell’abbondanza, con eccessi alimentari qualitativi/quantitativi, obeso-genico, dismetabolico.
Lifestyle della deprivazione, con carenza di principi nutrizionali, droghe/abitudini indotte.
Lifestyle del contrasto prolungato socio-familiare, con modalità conflittuali produttive e relazionali.

abstract da La Medicina Biologica n. 165
Mauro Piccini

#emergenza #covid #infiammazione #virus #prevenzione #piccini

 

 

 

LE 5 REGOLE DELLA GUARIGIONE

LE 5 REGOLE DELLA GUARIGIONE

Partendo dall’ovvio presupposto che la salute vada conservata, e per questo motivo tutti dovrebbero conoscere le basi della prevenzione primaria, ci troviamo oggi di fronte ad un cambiamento importante delle aspettative del paziente circa la gestione della sua malattia.
La funzione “tempo” è stata accorciata in maniera importante dalla tecnologia:
la lettera ha lasciato spazio ai messaggi o alle e-mail che in qualche decimo di secondo raggiungono ogni angolo del globo.
La scoperta scientifica più recente fa il giro del mondo senza limiti di appartenenza culturale in pochi giorni; gli spostamenti sono rapidi ed economici.
L’inconscio collettivo si è trovato in un periodo estremamente breve a riformulare il concetto di tempo.
Parimenti, il malato pretende di andare dal medico e trovare la risposta immediata al proprio problema e riprendere i propri ritmi e la propria vita normale in tempi brevissimi.
Il concetto di ” vita normale ” è così radicato che anche l’atto della dimissione da un ospedale, persino dopo un doppio bypass coronarico, il consiglio di smettere di fumare viene accompagnato dalla frase “ora può riprendere la sua vita normale”, destituendo la stessa da ogni tipo di responsabilità in ciò che ha portato il paziente a rischiare di perdere la vita.
Alla contrazione del tempo hanno fatto eco i cambiamenti culturali nel trattamento e preparazione del cibo (basti pensare il termine fast food), nella gestione degli spostamenti, nelle comunicazioni.
In questa  “rapida” evoluzione multifattoriale l’uomo non può non pretendere rapidità anche nel percorso di guarigione.
Questo sta creando un doppio movimento sociale.
Da un lato il predominio dei farmaci e dei trattamenti sintomatici rispetto a quelli causali, tanto che il messaggio chiave per la raggiunta guarigione è la scomparsa del sintomo, indipendentemente dalla reale scomparsa della malattia e degli eventuali effetti collaterali della terapia utilizzata.
Dall’altro, il sintomo stesso genera un processo di ricerca della soluzione in tempi ancora più rapidi, senza passare dal consulto medico, ma attingendo al mare di informazioni fornito dal mondo virtuale dei social.
Processo, questo, non indenne da ulteriore effetti collaterali perché, se nel 5% dei casi si potrebbe incorrere nella risposta corretta, occorre valutare come questa venga interpretata dal paziente che generalmente non possiede una formazione medica.

Sembra paradossale, dunque, ma diventa inevitabile indicare non solo la strada, ma anche la modalità per guarire.

1)  La guarigione è un percorso attivo.
Nella gestione di una malattia occorre riposare, alimentarsi adeguatamente, idratarsi al meglio e ridurre i fattori stressogeni allo scopo di riservare energie per il processo di guarigione e non sprecarle per la routine. Questo cambiamento non viene dall’esterno ma dalla decisione propria del paziente e dal suo atteggiamento attivo e condiscendente.

2) La guarigione richiede tempo.
Dare dei tempi tecnici cercando riferimenti nella propria esperienza. Se l’aumento della temperatura serve al corpo per ripulirsi, la normalizzazione della stessa non è sufficiente per decretare la guarigione. E’ difficile convincere il paziente che il mondo “può andare avanti ” anche senza di lui.

3) La guarigione richiede regole.
Il paziente deve essere aiutato a comprendere che la guarigione è un insieme di comportamenti e regole che vanno dall’adattamento dello stile di vita al rispetto del riposo, alla formulazione di scelte alimentari corrette, alla riduzione dello stress e degli elementi stressogeni.
Si ottengono questi risultati applicando regole e disciplina. Un aspetto fondamentale di queste regole è rappresentato dalla capacità di aspettare il giusto tempo con la dovuta pazienza.

4) Lo stress rallenta la guarigione fino a renderla impossibile.
La malattia per sé è una condizione di stress.
E’ molto probabile che il paziente si trovi nella fase di adattamento. Ciò implica che alcune funzioni ricevono meno energia ed importanza rispetto a quelle focalizzate sulla sopravvivenza.
Per questo motivo è importante, se non addirittura vitale, che le fonti di stress evitabili possano essere accantonate per tutta la durata della terapia e della convalescenza, anche se questo dovesse allontanare il paziente dalla routine lavorativa o dalle problematiche della vita sociale.

5) Non sprecare energie durante il processo di guarigione.
Nel processo di guarigione si assiste al dirottamento delle energie verso la lotta nei confronti dell’agente patogeno, al drenaggio delle tossine prodotte in questa lotta ed al recupero omeostatico della normalità.
Tutto questo richiede energia.
Ciò che obbliga ad un utilizzo superfluo dell’energia va a discapito della guarigione.

da La Medicina Biologica n. 165
Dott. Mauro Piccini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LO STRESS UCCIDE IL SISTEMA IMMUNITARIO

LO STRESS UCCIDE IL SISTEMA IMMUNITARIO

Lo stress uccide il sistema immunitario

Lo stress influisce su molte funzioni del sistema immunitario e può ridurne l’efficacia in modo determinante. Gli effetti sono davvero pericolosi. Ce lo spiega Greta Manoni in questo articolo.

La relazione tra stress e sistema immunitario è stata considerata per decenni.

L’atteggiamento prevalente tra l’associazione di stress e la risposta del sistema immunitario è stato quello secondo cui le persone sotto stress hanno maggiori probabilità di avere un sistema immunitario compromesso e, di conseguenza, soffrono di malattie più frequentemente.

Oggi, dopo 30 anni di ricerca, è un’evidenza dimostrata che gli eventi mediati dal cervello (come lo stress psicologico e la depressione) possono alterare la funzione del sistema immunitario periferico; e che viceversa alterazioni del sistema immunitario periferico (come quelle che si verificano durante una malattia) possono influenzare il cervello determinando modificazioni dell’umore, stati d’ansia e alterazioni cognitive (Schwartz-Nemeroff).

L’immunità è un requisito della vita stessa: anche gli organismi più semplici dimostrano un’attività immune, in accordo con l’ipotesi che l’immunità sia comparsa precocemente nella scala evolutiva sulla terra. Esiste un’immunità innata aspecifica rapida che inizia dalla cute e dalle mucose del tratto gastrointestinale e respiratorio, e costituisce una barriera fisica e chimica all’invasione degli agenti patogeni esterni. Risposte immunitarie innate utilizzano cellule effettrici come i fagociti (macrofagi, neutrofili), cellule natural killer, mediatori solubili (complementi, proteine di fase acuta), citochine (tumor necrosis factor-a, interleuchina-1A e B, interleuchina-6).

La risposta immediata aspecifica mette in moto col tempo la formazione di una risposta immunitaria acquisita, che implica la formazione di una memoria per i molteplici fattori patogeni; la risposta immunitaria acquisita è più specifica ma più lenta. Essa consiste in risposte cellulari (linfociti T-helper 1, linfociti T citotossici, interleuchine-2. interleuchine-12, interferone-gamma) e in risposte umorali (linfociti T-helper 2, linfociti B, anticorpi, interleuchina 4, interleuchina 10).

Il sistema immunitario può essere condizionato dallo stress patologico

Negli anni 70, alcuni ricercatori hanno scoperto che il sistema immunitario è suscettibile al condizionamento classico pavloviano in risposta a stress psicologico (Ader e Cohen, 1975). Diversi studi hanno dimostrato che i mediatori dello stress (ormoni corticosteroidi), essendo rilasciati dalle ghiandole surrenali direttamente nel circolo sanguigno, sono in grado di agire sul sistema immunitario. I ricercatori hanno evidenziato che gli stress cronici e intensi attivano il sistema immunitario innato e indeboliscono le risposte del sistema acquisito.

Gli effetti per la salute di tali alterazioni immunitarie associate allo stress sono dimostrati in studi che rivelano:

  • una correlazione tra stress cronico e aumento della vulnerabilità al comune raffreddore
  • ridotta risposta anticorpale alle vaccinazioni
  • ritardata guarigione delle ferite e comparsa di herpes zoster

Inoltre lo stress e la depressione sono stati correlati ad un incremento di morbilità e mortalità per malattie infettive come l’HIV e malattie neoplastiche (tumore al seno e melanoma). Lo stress grave può infatti portare a malignità sopprimendo l’attività dei linfociti T citotossici e delle cellule natural killer, e condurre alla crescita di cellule maligne, instabilità genetica ed espansione del tumore.

Lo stress aumenta la noradrenalina, che uccide le nostre difese immunitarie

Altri studi hanno dimostrato che la concentrazione plasmatica di noradrenalina, che aumenta dopo lo stress indotto, ha una relazione inversa con la funzione immunitaria di fagociti e linfociti. Infine dalla letteratura è risultato che anche le catecolamine e gli oppioidi (rilasciati in seguito a stress) hanno proprietà immunosoppressive. Tuttavia, come riportato in precedenza, i glucocorticoidi prodotti per brevi periodi e a moderate dosi possono promuovere realmente certi aspetti delle funzioni immunitarie fisiologiche. Durante lo stress acuto o lieve svolgono un ruolo primario nel limitare un’attivazione infiammatoria eccessiva e prolungata. Questa proprietà si utilizza in medicina per il trattamento delle eccessive reazioni immuni in varie patologie: i glucocorticoidi sono ancora oggi i principali farmaci antinfiammatori.

Da: https://www.igorvitale.org/lo-stress-uccide-il-sistema-immunitario/?fbclid=IwAR0W_EU4BY_oYAOkTlzIKCKjvob9UMTE3TN95FrnHjl7G540q1hROqK_PUA

Dott. Mauro Piccini

NEURONI SPECCHIO: L’EMPATIA SPIEGATA DALLE NEUROSCIENZE

NEURONI SPECCHIO: L’EMPATIA SPIEGATA DALLE NEUROSCIENZE

I neuroni specchio sono il motivo per cui riusciamo ad interpretare i gesti e le emozioni degli altri. Scoperti a Parma da Giacomo Rizzolatti, permettono di risolvere alcuni dei misteri del nostro cervello.

Cosa sono i neuroni specchio? Fermiamoci un attimo a riflettere, cosa facciamo noi umani tutto il giorno? Interpretiamo il mondo che ci circonda, soprattutto le persone che vediamo quotidianamente.  Tutto ciò che siamo è il perfetto riassunto della perfetta funzionalità del nostro cervello, composto da milioni di neuroni, le cellule del sistema nervoso, ognuno collegato con quasi 10 000 altri. I neuroni parlano fra loro costantemente attraverso interazioni elettriche e chimiche, riuscendo a sentirsi e a coordinare tutte le nostre azioni, i pensieri, i sentimenti e tante altre funzioni cognitive di cui siamo consci e non.

I neuroni specchio sono alla base dei processi di imitazione dei bambini e, pertanto, sono fondamentali.

Quando siamo in una stanza rumorosa, ad esempio, ogni neurone sa benissimo cosa fare: alcuni, chiamati neuroni sensitivi, si occupano di percepire le informazioni provenienti dall’esterno e dall’interno del nostro corpo (per esempio i colori dell’arcobaleno dopo la pioggia o il suono della musica che ascoltiamo in discoteca); altri, i motoneuroni, ci permettono di eseguire azioni o far secernere una ghiandola, (come quando facciamo una corsa o piangiamo vedendo il finale di un film strappalacrime) e per ultimo, gli interneuroni, che si occupano di elaborare una risposta ad un certo stimolo sensoriale. Inoltre esistono dei neuroni che hanno qualcosa in più rispetto ai motoneuroni, sono i neuroni specchio.

Scoperta dei neuroni specchio

I neuroni specchio sono stati una scoperta tutta italiana fatta quasi per caso da Giacomo Rizzolatti e la sua equipe di neuroscienziati a Parma, durante uno studio sulle azioni complesse del macaco. Furono inseriti  degli elettrodi nella regione F5 della corteccia premotoria frontale (un’area deputata alla pianificazione degli atti motori) e si registrarono le scariche dei neuroni motori. Ciò che non ci aspettava (ma che accadde) era che i neuroni motori di quest’area iniziassero a scaricare anche quando i macachi vedevano gli scienziati compiere determinate azioni (come mangiare delle noccioline). Così, dopo circa 20 anni di sperimentazione, Giacomo Rizzolatti e la sua equipe sono riusciti a dimostrare l’esistenza dei “neuroni dell’empatia” ovvero, i neuroni specchio. In poche parole, ad un primo impatto, questi neuroni sono quelli che causano uno sbadiglio riflesso nel momento in cui si vede sbadigliare qualcuno o che inducono il neonato a sorridere (lui che non ha ancora sviluppato il concetto di felicità e di espressione della stessa e che, dunque, imita semplicemente i movimenti che vede).

La risposta dei macachi inoltre, variava di intensità sulla base del significato soggettivo che le scimmie davano all’oggetto in questione. In altre parole, le aree contenenti i neuroni specchio si attivavano tanto più quanto l’oggetto (noccioline o gelato) veniva interpretato come ricompensa. Così, utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), la stimolazione magnetica transcranica (TMS) e l’elettroencefalografia (EEG), è stato trovato anche nell’area F5 e nel lobo parietale inferiore degli uomini un sistema simile di sincronizzazione azione-osservazione. La carrellata di studi successivi a quelli svolti da Rizzolatti hanno infatti dimostrato che, oltre alla programmazione (propria di tutti i neuroni motori) e all’imitazione, i neuroni specchio hanno almeno almeno altre due prerogative: la previsione e l’empatia.

Il sistema specchio: tra previsione ed empatia

Prima della scoperta dei neuroni specchio, la capacità che ha un individuo di prevedere e comprendere le azioni e le intenzioni di chi gli sta di fronte, si basava sull’inferenza:  un sofisticato apparato cognitivo nel cervello del primo individuo elabora ciò che vede (come prendere una tazzina piena di caffè, l’informazione sensoriale) e, paragonandola con le sue esperienze passate, gli permette di capire che cosa sta facendo il secondo individuo e perché. Per quanto, tale modo cognitivo di procedere sia fondamentale per interpretare situazioni strane e complesse, Rizzolatti con la scoperta del sistema specchio ha dimostrato che esiste un meccanismo molto più semplice ed immediato per comprendere le azioni dei nostri simili. In poche parole, siccome il primo individuo conosce le conseguenze del suo atto motorio (per esempio di quello dell’afferrare), quando i suoi neuroni specchio che codificano l’afferrare si attivano guardando il secondo individuo che afferra un oggetto, il primo immediatamente comprende che l’altro sta afferrando qualche cosa. Il passaggio all’empatia è dunque ora abbastanza immediato.

I neuroni specchio del sistema neuronale del macaco si attivano sia quando la scimmia vede compiere l’azione che quando essa stessa la compie.

Infatti, i neuroni specchio si attivano, anche quando si riconoscono le emozioni altrui, perché simulano gli stessi movimenti fatti dalla persona osservata (i movimenti mimici facciali) e inviano tali informazioni all’insula, una regione cerebrale interna che serve a vivere alcune sensazioni (come il disgusto), e all’amigdala, centro della paura e della libido ma soprattutto struttura del sistema limbico che permette di codificare le emozioni, aiutandoci ad interpretare lo stato d’animo di chi ci sta di fronte. Pertanto, ci basta guardare la persona che abbiamo difronte, per sapere se è felice o triste, per entrare in empatia con essa.

È importante sottolineare che ci sono altri neuroni che inibiscono le azioni stimolate dai neuroni specchio, altrimenti ci ritroveremmo tutti a piangere quando vediamo una persona piangere o tutti a ridere quando la vediamo ridere. Tale regolazione è alla base dell’empatia poiché permette una simulazione incarnata dell’altro riuscendo nello stesso momento a mantenere una distanza, dandoci la possibilità di rispondere a tale situazione in maniera diversa in base alla persona con cui siamo, alle nostre conoscenze e al coinvolgimento emotivo: se vediamo un amico soffrire faremo di tutto pur di aiutarlo, ma se a soffrire è una persona sconosciuta l’empatia sarà verosimilmente più attenuata.

Dall’empatia alla socialità e le nuove prospettive per il futuro

Tutto ciò non fa altro che avvalorare la tesi secondo cui l’uomo è un animale sociale che per vivere in società ha bisogno di empatia e che il sistema specchio ne è probabilmente la base imprescindibile. Il nostro cervello è un organo estremamente sociale, che ci permette di immedesimarci negli altri e sentire ciò che provano, dandoci la possibilità di affrontare insieme le difficoltà e di condividere  le gioie. Difatti, quando il sistema specchio non funziona in maniera adeguata si incorre nell’autismo, patologia caratterizzata soprattutto da difficoltà più o meno importanti nel relazionarsi con gli altri e dalla mancanza di empatia.

https://www.thedifferentgroup.com/2019/05/05/neuroni-specchio/
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